Il Fuortes

ANTONIO FUORTES jr, detto JONY alias IL FUORTES alias TONY (Perugia, 24 ottobre 1933), Ingegnere delle Trasmissioni al Politecnico di Milano (1957) è inaspettatamente scomparso il 24 febbraio 2012, lasciando un vuoto indicibile tra i suoi amici e congiunti.

Di lui ci mancano la sua strordinaria genialità e vivacità intellettuale, la sua contagiosa carica di buon umore, la sua generosità, sensibilità e bontà d'animo nei confronti dei bisognosi. Chiunque dei suoi amici o anche delle persone da poco incontrate e quasi sconosciute avesse avuto un problema di concetto di qualsiasi tipo da risolvere, da lui trovava sempre la soluzione. Chiunque gli portasse un problema, che fosse di matematica, di fisica , di astronomia o di quelli infiniti del computer, gli faceva un regalo. Per il Fuortes risolvere un problema era sempre una festa, tanta era la sua curiosità e la sua umiltà e volentieri ci investiva del suo tempo. Con le sue mani sapeva fare tutto. Interveniva a riparare caldaie, impianti idraulici, impianti elettrici e di telefonia, radio e orologi nonchè i primi computer dove si potevano modificare i pannelli. Maestro nell'elettrotecnica oltre che nell'elettronica, la prima gliela aveva insegnata il papà fin da bambino.

Anche il papà si chiamava Antonio Fuortes, anche lui era Ingegnere: si era laureato a soli 22 anni a Pisa in Matematica e Fisica e due anni dopo in Belgio, a Liegi, in Ingegneria Elettrotecnica.

Dapprima progettista e costruttore dell'Acquedotto Pugliese, poi quando nasce Jony da Anita Berlese, sua moglie, era Direttore dell'Officina del Gas di Perugia. Non aderì al Fascismo e durante la guerra tutta la famiglia sfollò a Vigevano nella casa paterna di Anita. Qui il papà Fuortes divenne preside del locale Istituto Tecnico.

Tutti e due i Fuortes avevano talenti artistici. Il papà per tutta la vita ha dipinto dal vero, padroneggiava la tecnica delle xilografie (incisioni su legno) e sapeva suonare magnificamente il pianoforte, come del resto il Fuortes. La sua collezione di spartiti è di tutto rispetto. Era stato amico di Tagore di cui aveva tradotto le poesie in italiano e di Trilussa, il celebre poeta satirico romanesco e di entrambi aveva fatto il ritratto, ora custoditi nella Biblioteca «Antonio e Antonio Fuortes» a Palazzo Comi a Lucugnano di Tricase (Lecce).

Il Fuortes aveva una splendida mano per il disegno, la creta e la tempera e aveva imparato dal papà a fare le incisioni. Quando si metteva al piano improvvisava delle tenere composizioni, che potete ascoltare nelle colonne sonore dei video "Passeggiata", "Antibes", "Val di Fiemme", "Isole Lerins" e "La Garoupe".  Inoltre era sensibile nei confronti della natura. Gli piacevano piante, gatti, merli e bambini e amava curare il suo giardino che non lasciava mai per più di qualche giorno nemmeno in estate.

E che dire di Anita? Anche lei amava le arti e in particolare la musica e la poesia. Suonava il piano e aveva studiato canto così bene da esercitare come una cantante lirica fino a 27 anni, quando era andata sposa. Amava molto gli animali e in particolare i gatti. Uno bellissimo d'angora bianco e nero le faceva compagnia da anziana, quando, nonostante l'età avanzata, ancora le piaceva visitare mostre e gallerie d'arte, nonchè fare delle escursioni nostrane alla ricerca dei nostri gioielli architettonici. Nella sua biblioteca spiccano l'Enciclopedia Bompiani delle Opere e dei Personaggi, l'epistolario di Leopardi, le poesie del Pascoli e del Carducci, delle quali molte ancor vecchia recitava a memoria.

Vita dei Fuortes

Antonio Fuortes Senior, il papà del Fuortes,  era nato a Ruffano (Lecce) il 13 di marzo del 1884, primo di sei fratelli, da Gioacchino Fuortes (1846- 1930), allora trentottenne e da Teresa Pizzolante (1859-1921). Gioacchino era il quarto di dodici figli, di una famiglia di origini spagnole approdata dapprima a Napoli, avvocato all'anagrafe “possidente”, fu fotografo, tipografo, editore, compositore di versi, raccolti questi nel 1887 nel volumetto dal titolo Ombre e raggi, stampati da lui medesimo e dedicati a Sigismondo Castromediano (1811-1895), il Duca di Cavallino, raccoglitore a sua volta dei Canti di Morciano di Leuca, pubblicati nel 1871 nella raccolta Antonio Casetti - Vittorio Imbriani. 

Gioacchino, secondo Aduino Sabato, può essere considerato «il più moderno dei protofotografi salentini».

Nella ricchissima collezione privata di cartoline sono illustrati paesaggi, volti e costruzioni del Capo di Leuca, un patrimonio di straordinario valore storico e demoantropologico. Suo fratello Tarquinio di due anni più giovane (1848 -1929), zio di Antonio, era docente di Matematica presso l'Istituto Militare di Napoli, noto anche come La Nunziatella. Nel 1880 pubblica gli Elementi di prospettiva lineare per gli artisti, un'opera premiata all'Accademia Pontaniana, e gli Elementi di Geometria descrittiva. Tra i suoi allievi ci fu anche il futuro Emanuele III di Savoia, detto Carignano. In famiglia un'altra figura di spicco fu quella del fratello Tommaso Fuortes (1845-1915), per alcuni anni sindaco di Castrignano del Capo e animatore delle serate d'estate a Santa Maria di Leuca, fondatore di un vivace giornale di cultura e costume che si chiamava Il Leuca.

Gioacchino e Tarquinio insieme sono gli autori del volumetto Saggio di Canti Popolari di Giuliano - Terra d'Otranto, uscito nel 1871 e ripubblicato 135 anni dopo nelle Edizioni dell'Iride, Tricase 2006. Dalla Presentazione all'edizione del 2006 di Sergio Torsello e dalla Postfazione di Alessandro Laporta, abbiamo tratto le notizie su esposte sui fratelli Fuortes.

Antonio Fuortes Senior, che aveva studiato al Collegio Argento di Lecce gestito dai Gesuiti, a soli 22 anni nel 1906 si laurea in Matematica e Fisica a Pisa e, due anni dopo, in Belgio a Liegi consegue la laurea in Ingegneria Elettrotecnica con lode o, come dicono  i belgi, avec distinction.

Tornato in Italia si dedica per otto anni alla progettazione dei tracciati  e alla vera e propria costruzione nei cantieri dell'Acquedotto Pugliese, che verrà completato nella sua prima parte a Bari nel 1915, alla vigilia dello  scoppio della Prima Guerra Mondiale. Solo dopo la fine della guerra i lavori verranno ripresi e proseguiti nelle zone di Brindisi, Taranto e Lecce. L'acquedotto pugliese terminerà a Leuca con una fontana a cascata dall'alto sul molo del Capo di Leuca solo alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale.

Fin da ragazzo e per tutta la vita, a latere della sua attività ingegneristica, Antonio Fuortes senior coltiverà la pittura a olio, con una ricchissima e pregevole produzione di paesaggi, di ritratti, di nature morte, di scene al mercato, di impagliatori, di carretti trainati da animali, di animali da soli, di pergolati, granai, galline. Tutto questo ben di Dio egli lo andò regalando durante tutta la sua vita a cugini e amici e quindi il patrimonio si è disperso per tutta Italia nelle varie abitazioni. Tuttavia una novantina di questi quadri si possono adesso ammirare alla pagina “Fuortes Senior - Quadri ” di questo sito.

Ma il papà del Fuortes era portato anche per la musica, che aveva respirato in casa fin da piccolo sia dal papà che dalla mamma, come del resto il Fuortes jr e la sua mamma Anita Berlese. Il Senior suonava magnificamente il pianoforte, come era per le donne di casa, e la collezione di spartiti della famiglia è di tutto rispetto.

Inoltre padroneggiava la tecnica della xilografia (incisione su legno). In rete se ne trovano ancora commercializzate da alcuni amatori.

Ma da ingegnere qual era, non disdegnava la poesia (vedi Juvenilia: L'assiolo) ed era diventato amico del poeta indiano Tagore dopo averlo incontrato personalmente a Firenze nel 1926. Sua è la prima traduzione italiana dei Ricordi di Tagore, edita nel 1928 per i tipi di Carabba. Sue sono le traduzioni in versi delle opere di Tagore La Fuggitiva e Il Giardiniere, che potete leggere ora in questo sito alla sezione Fuortes Senior. 

Un bel ritratto di Tagore, fatto da lui a grafite, con la firma autografa del poeta in caratteri indiani e la firma di Antonio Fuortes senior si può ammirare oltre che in questo sito (alla voce "Quadri" di Fuortes senior), anche a Palazzo Comi, a Lucugnano di Tricase (Lecce), dove è custodita, per una sua stessa intuizione, dalla cugina Gloria Fuortes, la Biblioteca «Antonio e Antonio Fuortes».

Un altro grande amico del nostro fu Trilussa, celebre poeta satirico romanesco; il quale in una dedica di un suo libro ebbe a scrivere: "Ad Antonio Fuortes ingegnere, poeta, artista e amico sincero che più di ogni altro mi ha capito" firmato Trilussa.  A testimonianza di questa amicizia, nella stessa Biblioteca di Lucugnano, si trova una xilografia che ritrae Trilussa a mezzo busto con il suo basco in testa, e che potete trovare anche in questo sito sotto "Prove di Stampa" di Fuortes senior.

Tuttavia la cosa notevole dei due nostri Antonio è che essi non erano dei semplici ingegneri che avevano studiato e dato gli esami di ingegneria. Essi l'ingegneria ce l'avevano nel sangue e, soprattutto Jony (nome del Fuortes da piccolo, una deformazione di Tony Junior), per merito del papà, «l'aveva succhiata con il latte». Jony a dodici anni leggeva la Fisica di Carlson e il papà già gli insegnava le basi dell'elettrotecnica. Per cui ben presto il piccolo Fuortes imparò a costruire le radio a galena. Ciò era dovuto, soprattutto per  Fuortes jr, anche al suo grande dono di saper far tutto con le sue mani.

Ma tornando al papà, sospesi i lavori dell'Acquedotto Pugliese a causa della Prima Guerra Mondiale, troviamo il nostro Antonio Senior Direttore Generale del Consorzio Pugliese per Materiali da Guerra. Di questo periodo è la pubblicazione, L'organizzazione scientifica delle Officine, Estratto della Rassegna Tecnica Pugliese del Collegio Pugliese degli Ingegneri e Architetti, Bari 1917 e l'articolo Norme pratiche per la determinazione dell'altezza di volo di un aereo, scritto per la Prefettura di Bari.

Nel 1919, a Bari, Antonio senior diventa Direttore di un'impresa di costruzioni edilizie, ferroviarie, idrauliche e portuali (impianti meccanici ed elettrici), nonchè Direttore della Rassegna Tecnica Pugliese, organo ufficiale del Collegio degli Ingegneri e Architetti Pugliesi.

Nel 1921, alla morte della madre Teresa, Antonio lascia la Puglia per Perugia. Qui con un gruppo di associati e grandi industriali, radunati nella Società del Gas, costruisce l'Officina del gas di città, che gestirà per un ventennio.

Nel 1930 muore anche il padre Gioacchino. Intanto da autodidatta impara il russo e acquista una macchina da scrivere in caratteri cirillici. Sono di questo periodo alcune opere teatrali tra le quali la commedia S.E.V.R.E.S. Appassionato del gioco degli scacchi, a Perugia diventa Presidente del Circolo Scacchistico e del Rotary.  Il primo dicembre del 1932, Antonio si sposa a Biella con Anita Berlese (Vigevano 1905–Milano 1996). Il papà di Anita, Arturo Berlese (Vigevano, 1875 - 1945) aveva sposato nel 1904 Angela Pistoia. A causa dell'epidemia di spagnola, era rimasto vedovo nel 1918 con le due figlie, Anita di 12 anni e Ada di 9. Arturo lavorava a Milano ed era l'uomo di fiducia dei Crespi, i proprietari del Corriere della Sera. Non si era mai risposato e le due ragazzine erano state cresciute fino all'età adulta con l'aiuto delle sue due sorelle, Attilia e Adalgisa.

Anita era molto brava a scuola e ammirava i nostri poeti classici dei quali sapeva molte poesie a memoria, soprattutto Leopardi, Pascoli e Carducci. Inoltre studiò pianoforte e canto così bene che divenne una cantante lirica, arte che esercitò fino a ventisette anni quando andò sposa.  Era anche molto sensibile nei confronti della natura. Rispettava i piccoli animaletti, come del resto il Fuortes, il quale non ha mai schiacciato una formica  o un ragno.  Anita amava in modo particolare i gatti e ne aveva  uno bellissimo di angora bianco e nero che  lei nutriva insieme agli altri mici che giravano per il giardino di casa. Diventata anziana le piaceva ancora molto viaggiare e visitare mostre e gallerie d'arte. Assai avanti nell'età recitava ancora a memoria i suoi poeti preferiti, soprattutto il Carducci, del quale possedeva le poesie complete nell'edizione zanichelliana. Nella sua biblioteca spicca anche l'Epistolario di Leopardi, in due volumi in una edizione di Napoli del 1860, e il Pascoli con alcuni volumi di critica letteraria, nonché il Dizionario Bompiani delle Opere e dei Personaggi. Ma nella biblioteca dei Fuortes non mancano molte opere religiose, come una Bibbia in latino e in francese, in parecchi volumi, in un'edizione di Parigi del 1827, e diverse biografie di santi.

Nell'ottobre del 1933 da Anita Berlese e Antonio nasce Jony, e due anni dopo anche una bambina di nome Anna Maria Chiara. Tuttavia, quando la piccola Anna Maria ha solo tre anni, la bambina contrae la meningite da una tata, e dato che allora non c'erano ancora gli antibiotici, ne muore gettando tutti, ma soprattutto Anita, in un dolore sconsolato.

Nel 1941 Antonio Senior, non trovandosi più a suo agio a Perugia per l'incalzare del Fascismo e  l'entrata in guerra dell'Italia, decide di lasciare l'Officina del Gas a Perugia e si trasferisce con la famiglia a Milano, dove ha acquistato, da degli inglesi, una villa a due piani con giardino. Antonio Senior non aderì al Fascismo, anzi a modo suo vi si oppose: dato che era vietato dal regime, chiamò suo figlio Antonio, con il suo stesso nome, proprio per sottolineare la sua presa di distanza.

Ma presto, nel 1942, i bombardamenti di Milano costringono i nostri a rifugiarsi a Vigevano nella casa paterna di Anita, dove si riuniscono le due famiglie di Anita e di Ada, la quale aveva sposato Alberto Boletti e aveva avuto tre figli: Giorgio, Laura e Edda. Qui Antonio senior per non essere di peso al suocero si mette a fare il Preside del locale Istituto Tecnico Industriale Negrone.

A guerra terminata e a liberazione avvenuta credono i nostri di poter ritornare a Milano nella loro villa. Ma la casa è stata conquistata da un esproprio proletario e occupata da una vetreria. Non c'è verso di rientrarvi.

Nel dopoguerra Fuortes Senior ancora coltiva la sua amicizia giovanile con il poeta salentino Girolamo Comi e collabora alla rivista letteraria L'Albero, come si evince dalle lettere.

Nel 1952 Fuortes jr  si iscrive al Politecnico di Milano. Il papà è costretto a prendere una casa in affitto a Città Studi. Solo nel 1953, dopo una battaglia legale durata otto anni, il nostro Antonio senior riuscirà a mettere finalmente piede in casa sua con tutti i suoi familiari.

Nel frattempo Fuortes jr prosegue spedito i suoi studi di ingegneria con soggiorni in Inghilterra e in America (qui insegnerà  matematica in un liceo americano, scoprirà un errore di progettazione in uno dei primi computer e vi rimarrà  per piŭ di un anno).

Nel 1957 Antonio senior e Anita hanno la soddisfazione di vedere il loro figliolo Antonio jr laureato in Ingegneria Industriale (Sottosezione Elettrotecnica).

Antonio Senior si spegne il 2 luglio del 1958, a 74 anni, per una crisi cardiaca .

 

BIBLIOGRAFIA di Antonio Fuortes Senior

 

  • Antonio Fuortes, L'Assiolo, Poesie, Giuliano di Lecce, 1910
  • Antonio Fuortes, La Lampada a filamento metallico, Melfi, Tipografia Liccione, 1911
  • Antonio Fuortes, Calcolo del diametro più economico di una condotta forzata, Bari, Edizioni Finga, 1912
  • Antonio Fuortes, Moderni trasporti di energia a grandi distanze, Bari, Edizioni Finga, 1913
  • Antonio Fuortes, La telegrafia senza fili, Bari, Edizioni Finga, 1913
  • Antonio Fuortes, Norme pratiche per la determinazione dell'altezza di volo di un aereoArchivio di Stato di Bari, settembre 1916, Fondo Prefettura, Gabinetto del Prefetto, II versamento, B. 155, f.60, p.1 
  • Ing. Antonio Fuortes, L'organizzazione scientifica delle Officine, Estratto della Rassegna Tecnica Pugliese, Periodico mensile del Collegio Pugliese degli Ingegneri e Architetti, Vedova Trizio, Bari 1917
  • Ing. Antonio Fuortes, Come pagherò i miei operai?, Bari,  Edizioni Finga 1919
  • Edgar A. Poe, The Raven, Il Corvo, Traduzione ritmica di Antonio Fuortes, Aprile 1920
  • Rabindranath Tagore, The Fugitive, Macmillan, Londra 1921,
    La Fuggitiva, Traduzione in versi di Antonio Fuortes
  • Rabindranath Tagore, The Gardener, Macmillan, Londra 1923,
     Il Giardiniere, Traduzione in versi di Antonio Fuortes
  • F.Toussaint, Giardino di Carezze, Traduzione in versi di Antonio Fuortes
  • Rabindranath Tagore, My Reminiscences, Macmillan, Londra 1917, Ricordi, vol I e vol II, Traduzione di Antonio Fuortes , Carabba, Lanciano 1928
  • Antonio Fuortes, S.E.V.R.E.S., Sindacato Economico Vedove Riccardo Emilio Saccardi, Opera Teatrale Comico Farsesca in tre atti, 1932

Paolo e Anna Schiavone

Lettera ad un amico che non c’è più

 

Caro Antonio, è trascorso un anno dalla tua scomparsa.

Dopo lo sgomento e il dispiacere di questo primo periodo, mi sento ora di dare testimonianza di quella che è stata la tua presenza e la tua amicizia per me, per noi, durante trentacinque anni.

Tutto è iniziato a metà degli anni ’70 quando ti sei unito come consulente a me e ad altri per una delle prime piccole rivoluzioni informatiche, non più solo grandi calcolatori centrali ma anche piccoli e potenti computer decentrati.

La tua presenza in quegli anni ha dato un contributo sostanziale, quasi fosse un marchio di qualità, al nostro sviluppo.

Come non ricordare il tuo impegno sul lavoro anche in orari non canonici, di sera e a volte anche di notte.

Eppure, con grande “modestia”, ti sei sempre rifiutato di chiedere compensi più alti per la tua consulenza.

Al di là degli aspetti di lavoro, c’era stata subito una grande sintonia tra noi anche per questi lati del tuo carattere, che io condividevo, garbo e semplicita’ dei modi, rispetto delle regole, attenzione e generosita’ nell’aiutare gli altri.

Su tutto spiccava la tua intelligenza, la capacità di ascolto e di analisi.

Ora la memoria, come attraverso un prisma, restituisce frammenti e sequenze di cose fatte insieme, tu che ti metti a suonare il pianoforte in una tarda serata in un locale di Brera, lunghe conversazioni in pizzeria e al Tumbun de San Marc, visite alle gallerie d’arte, gite in montagna a sciare con rischiose abbronzature color “melanzana”, serate a teatro e tanti altri episodi.

Spesso ero io a proporre e con piacere ti trovavo sempre disponibile perché la tua innata curiosità ti spingeva a partecipare con entusiasmo.

Poi anni dopo avevi anche iniziato a suonare il violino, a modellare la creta per piccole ceramiche e ad apprendere la lingua cinese.

Negli ultimi tempi il tuo slancio si era un po’ appannato, e tu stesso lo dicevi, erano diminuiti i giochi di parole e le metafore.

Forse avevi trascurato anche quella influenza che ti ha tolto a noi tutti.

Quella sera di un anno fa, al telefono, avevo sentito che il tuo respiro era molto affaticato ma tu avevi sdrammatizzato dicendo che ti stavi curando e che eri d’accordo con il medico di vederlo il giorno dopo.

Poi con tono lieve e ironico hai aggiunto «che sia la prova generale della mia dipartita?».

Così è stato, carissimo e impareggiabile Antonio.

Ora custodiamo con grande affetto il tuo ricordo e gli oggetti che ci sono stati donati dalla tua Anna.

Ci sarà un non tempo e un non luogo in cui potremo riprendere il filo dei nostri discorsi.

Paolo e Anna 

 

Edda Fonda

Generoso, intelligente, creativo, immune dalle formalità … quanti aggettivi si potrebbe attribuirgli!

Così come mi fluiscono, getto su questo foglio qualcuno dei tanti ricordi.

Antonio che viene a trovarmi nel reparto ortopedia e la sua presenza vivacizza subito l’ambiente che diventa presto un salotto, con noi, sei  degenti doloranti, piacevolmente coinvolte dalla sua conversazione;

Antonio che tratta tutti allo stesso modo: il professore universitario con cui al ristorante ha sollevato un problema di fisica (meglio se irrìsolubile o quasi) e il cameriere appena arrivato da luoghi lontani, a cui dice qualcosa nella sua lingua e l’altro capisce e apprezza;

Antonio che ho conosciuto da poco e, sapendo che mi sono messa a fare un erbario, mi porta un libro sull’argomento accuratamente scelto;

Antonio che entra nella birreria di Antibes e saluta con calore naturale i presenti chini sul  loro bicchiere, i quali, al suo “Bonsoir mes amis!” volentieri si scuotono, tanto che ci sentiamo tutti europei, di più, cittadini del mondo;

Antonio che voleva che andassimo a Pellerina e poi a Chioggia e noi abbiamo rimandato credendo ci fosse tempo;

Antonio che non ho sempre capito e spero mi perdonerà

Giorgio Boletti

«Se chiudo gli occhi vedo un ingegnere».

Così iniziava il sonetto, con metrica perfetta, che mio cugino Jony compose in terza media, quando la professoressa ci assegnò, come compito in classe, un tema dal titolo: Come vedo il mio avvenire.

Aveva evidentemente le idee chiare già allora. E sorvolo sul fatto che io, invece, presentai il foglio in bianco. Ma io allora leggevo i romanzi di Salgari e lui un "pesantissimo" tomo dal titolo La fisica di Carlson; io giocavo con le biglie e lui costruiva radio a galena. Funzionanti!

In realtà mio cugino Jony si chiamava Antonio, anzi Antonio junior, visto che gli era stato dato lo stesso nome di suo padre, nonché mio zio, per parte di madre. Probabilmente, per non fare confusione, venne da subito chiamato Jony, quasi certamente derivato da Tony junior.

Io continuai a chiamarlo così finché, un bel giorno di molti anni fa, mi accorsi che la cosa gli dava fastidio. Da allora nacque il vezzo di chiamarci reciprocamente per cognome: lui fu "il Fuortes" e io "il Boletti".

In tempo di guerra, le nostre famiglie si ritrovarono sfollate e riunite nella casa del nonno materno a Vigevano, dove io e Jony frequentammo la stessa classe in seconda e  terza media, nonostante lui fosse di un anno più giovane di me; ma il genietto mi aveva raggiunto, saltando la quinta elementare, superando l’esame di ammissione dopo la quarta.

Poi le nostre strade si divisero: lui, senza problemi, continuò con Ginnasio e Liceo Classico; mentre io, già in difficoltà col Latino, passai all’Istituto Tecnico per diplomarmi in Ragioneria. Inoltre, mentre noi restammo  ancora qualche anno a Vigevano, la sua famiglia ritornò a Milano, dove lui si iscrisse al Politecnico per laurearsi, ovviamente, in Ingegneria.

Nel frattempo, poiché già all’epoca (eravamo più o meno alla metà degli anni Cinquanta) c’era la possibilità, per gli studenti universitari meritevoli, di fare esperienze all’estero durante l’estate, lui, ancora studente, partì per gli Stati Uniti d'America, a Dayton nell’Ohio, “sponsorizzato” dalla NCR National Cash Register.

Avrebbe dovuto restare per poco più di un mese; ritornò dopo oltre un anno, durante il quale scoprì un errore di programmazione in uno dei primi “calcolatori” e insegnò matematica in un liceo americano.

Non ha mai amato le automobili, né guidare. A memoria mia, l’unica auto che ha posseduto ( ma forse non era neppure intestata a lui) è stata una vecchia Austin (parliamo di circa cinquanta anni fa), con una portiera legata col filo di ferro, che dovette  essere spinta a mano per farla partire per il viaggio di nozze, destinazione Passo dello Stelvio, Rifugio Livrio. Al ritorno l’ulteriore beffa: gli sposini vennero derubati di sci e bagagli mentre cenavano in un ristorante di Colico.

Chiudo questi ricordi facendo ancora un passo indietro, ai tempi delle Medie, a Vigevano.

Lo zio gli aveva acquistato una incredibile bicicletta pieghevole (antesignana della famosa Graziella, comparsa sul mercato molti anni dopo), con due ruote piccole piccole, per cui lui, lungo lungo già allora, faceva una gran fatica a pedalare e non sempre riusciva a governare a dovere la bicicletta. Successe quindi un giorno che, in una curva in fondo alla discesa, affrontata a rotta di collo perché avremmo dovuto poi affrontare una salita, io, che ero davanti con  una bici normale, schivai senza problemi l’incrocio con una signora pure lei in bici; lui la centrò in pieno! Fummo molto lesti a scappare mentre la signora urlava, cercando faticosamente di rialzarsi da quello che a noi sembrò .... un lago di sangue! Dopo un certo tempo, facendo finta di niente, ritornammo a piedi sul luogo del ... delitto. Fortunatamente quello che a noi era sembrato sangue era in realtà il contenuto di un bottiglione di Barbera, rottosi nella rovinosa caduta.

Ma erano gli anni in cui alla vicina fontana di San Francesco, nottetempo, con l’acido e un batuffolo di cotone, “lucidavamo” le unghie al Santo, riprodotto in rame! 

 

§ § §

 

p.s.

una bella sorpresa:

ho trovato un libricino con, scritte di suo pugno, quattro poesie di Antonio.

 

COME MI PIACE IMMAGINARE IL MIO AVVENIRE

 

Se chiudo gli occhi vedo un ingegnere

che guadagna parecchio negli affari,

non dando cose false per le vere

come fan per avere più denari

 

certi imbroglioni che, non passa guari,

guadagnan d’oro delle sporte intiere

da quando non avevano denari

che per campare con giornate nere.

 

Io sogno e vedo questo laureato,

che si sforza d’esser buon poeta,

arrabattarsi dinanzi ad uno iato

 

che non gli lascia conseguir la meta

ch’egli s’era proposto e allor scornato

il giovin s’abbandona agl’”x, v, z”.

 

Vigevano, 3 maggio 1946

 

 

DOMINE NON SUM DIGNUS

 

Annualmente, di Maggio alle calende

si torna a celebrare in tutta Italia

la Festa del Lavoro, e ognuno intende

come in danze la passi e in “Bacchanalia”

ogni lavorator che si rispetti,

almeno in questo sito, ove la balia

nudrisce con il vin quei pargoletti

che le sono affidati: e i poverini

dapprima lo sorbiscono a sorsetti,

ma poi ci si assuefanno, e a bicchierini

lo bevono e a boccali. Or dunque piaccia

al mio lettore immaginare i tini

che bevono in un giorno e la lor faccia

dopo la sbornia. Passiam quindi al sodo:

questi lavoratori delle braccia,

non ammettono affatto e in alcun modo

che sia proprio un lavor quel della testa,

e deducon da ciò, “grosso cum modo”,

che il primo maggio solo sia la festa

non di quei che lavoran col cervello

ma di quei che lavoran senza testa.

Ed ora viene il bello:

Io non sono che un povero studente,

che far non può lavori tanto rari,

e che vanga e martella con la mente:

vedendo che ver me torcon le nari,

non mi curo di loro e quindi dico:

“Domine non sum dignus conviviari”!

 

Vigevano, 8 maggio 1946

 

 

 

DOMANDA D’AMMISSIONE ALL’ESAME DI MATURITÀ

PER LE SCUOLE MEDIE SUPERIORI

 

Al Preside illustrissimo

del Ginnasio – Liceo,

il qui sotto umilissimo

di studiar mal non reo,

sentendosi maturo

di fronte al passo duro

 

di quest’esam finale

che, salvo qualche intoppo,

in quarta ginnasiale

spedisce di galoppo

color che a Sua sentenza

dimostrano esperienza,

 

con questa sua, presenta

domanda regolare,

sperando che acconsenta

a farlo esaminare.

A cuor poco contento

Allega il documento:

 

ricevuta di tassa

pagata a pronta cassa!

 

Vigevano, 30 maggio 1946

 

 

CONTEMPLANDO IL CIELO IN UNA NOTTE STELLATA

 

In una notte, di poi che tante volte

indifferente il cristallino cielo

avea mirato, avend’io già distolte

queste mie luci dalla Terra, un velo

mi si squarciò sugli occhi e là rimasi

a contemplare quel sereno cielo

più non pensando a que’ si tristi casi

che del genere umano son la nota

la più spiccata, potrei dire quasi

la dominante, di sopra della mota

delle passioni umane mi elevai

pensando al firmamento uman che ruota

di Dio sotto la mano che non mai

dalla sua strada devia e mai si ferma

e dirigendo del gran sole i rai

fa germogliar la Terra, onde conferma

l’eterna sua bontà: M’astrassi dunque

e fermo in contemplazion d’un’erma

restai costellazione, ché dovunque

io fossi stato non avrei potuto

goder di tanta pace ed un qualunque

lieve rumore m’avrebbe disturbato.

 

Vigevano, 24 gennaio 1947

Nino Bertolotti

LA RADIOLINA A TRANSISTOR

 

Siamo nel 1952. Nella saletta dell'Interfacoltà del Politecnico di Milano, messa a disposizione degli studenti per studiare e stare un po' insieme, fornita anche di una piccola biblioteca, dono dei Marescotti, Antonio Fuortes e Nino Bertolotti stanno giocando a scacchi.

A un certo punto una radiolina di bakelite a transistor, che sta suonando su uno scaffale viene urtata da uno studente che sta passando di fretta e cade.

La plastica vitrea va in mille pezzi. La povera radiolina privata del suo involucro mette in mostra tutti i suoi circuiti come un animale sbudellato. Sembra proprio distrutta. La segretaria va a prendere la scopa per raccogliere i pezzi e buttare via tutto.

Interviene il Fuortes: «Fermi! Fermi! Questa radio funziona ancora» e rivolto allo studente più vicino gli dice: «Fallo tu: prendi quel filo lì e fai collegamento con la piastrina di metallo», indicando col dito l'operazione.

«Non ho intenzione di prendermi una scossa» – dice quello - e il Fuortes: «Ma no, stai tranquillo, cosa vuoi prendere la scossa, non hai le suole di gomma?».

Quello ci pensa su un po', poi si fa coraggio e opera il collegamento suggeritogli.

Improvvisamente miracolo!

La radiolina riprende a suonare tra lo stupore generale.

Cesare Rigolio

Spirto libero e gentil.

Il Fuortes l’ho conosciuto nei favolosi anni sessanta, gli anni del boom economico. Un pomeriggio, vengo convocato al Bel Sit di Comerio, un hotel di fronte agli uffici della Ignis. Ci sono Giovanni  Borghi, il suo amico Beniamino e altre due persone. Oggetto dell’incontro è la installazione alla Ignis di un computer, l’NCR 315. Sono intimidito di fronte a quei personaggi. Io sono il piccolo del gruppo; loro bevono gin o whisky, il colonnello Angleton, presidente della National-NCR, invece  a  me dice: “Baby, a te Coca cola”. Dopo un po’ mi è evidente che il Fuortes è uno che non ama le riunioni formali; a un certo punto si gira e con fare distratto schiaccia un paio di tasti sul pianoforte. Infine si alza del tutto e si mette a suonare. Il bello è che pure Giovanni Borghi e il Beniamino lo seguono e improvvisano un trio musicale, per me incredibile, se non l’avessi vissuto. 

Da lì è iniziata la collaborazione e l’amicizia con Antonio Fuortes. Lui, capo della divisione elettronica della NCR, io, un giovane ragionierino alle prime armi; tutti e due confrontati con una sfida mica da ridere: installare un computer, il primo della NCR in Italia, tutti con poca o nessuna esperienza sul campo e per di più in una azienda dove la contabilità e i sistemi non è che fossero grandemente apprezzati. Eppure, grazie al Fuortes ed al suo team, ed a un mini gruppetto di giovani Ignisini pieni di voglia di fare, si è riusciti nell’impresa. Facile, oggi, mettersi davanti a un pc con una capacità enormemente superiore agli enormi “armadi” di quei tempi e per di più dove non c’è più una foresta da disboscare. Devo correttamente dare atto che non ci sono mai mancati l’incoraggiamento ed il supporto di grandi ed indimenticabili personaggi della Ignis, collaboratori di Borghi sin dai primi tempi: il ragionier Tanzi, la mitica signora Rosanna, il “burbero” dal cuore d’oro commendator Ferrario, il dottor Ponzellini, la grande signora Laura. Come mai ci è mancata l’attenzione del commendator Borghi; ancora oggi conservo caro uno scritto di suo pugno con il quale egli si complimenta per la riuscita dell’impresa, alla faccia dei tanti gufi che mal ci sopportavano.

Col Fuortes è bello lavorare ma anche tremendamente complicato, lui va e tu sei sempre lì a inseguirlo, mannaggia, sempre un passo indietro. Lui sembra ascoltarti quando gli parli di come impostare i programmi delle fatture e delle partite contabili e altre cosucce del genere, ma glielo leggi in faccia che sono soggetti che non lo appassionano. Al mattino arriva e vaga per gli spazi, a salutare tutti. Poi, trova un programmatore che gli parla di come risparmiare un bit, e lui si appassiona; e giù discussioni ed elucubrazioni ingegneristiche, avvolti in una totale nuvola di fumo di sigarette e di pensieri. Dopo un po’ riesco a strapparlo via dalla fumisteria e lo porto a bere un caffè al bar della mensa. Lì c’è Gino Bramieri. Il Fuortes lo bracca e insieme inscenano uno spettacolino dove non riesci a capire quale dei due è il comico più comico. Vabbè, è l’una, anche gli ingegneri mangiano, in realtà lui non è un mangione, un buongustaio sì. Andiamo alla trattoria “Il Torchio” insieme al conte Radicati della NCR, l’ideologo della contabilità. Lì sono a pranzo anche il commendator Borghi ed altri. Il conte Radicati nella sua tenuta piemontese produce del buon Barbera e se ne porta sempre appresso qualche fiasco nel bagagliaio dell’auto. Che fa il Fuortes? Prende il fiasco e offre da bere a Borghi, il quale ci invita tutti quanti al suo tavolo, a mangiare il pesce del lago di  Monate. Finale: come apprezzamento della cucina, e direi soprattutto del clima cameratesco, il Fuortes mette su di un tovagliolo una bella dedica a “L’oste della malora”. Si rientra e si cerca di lavorare. Si produce poco. Arrivano le otto di sera. Torniamo alla trattoria; si cena. Poi torniamo in ufficio, in un assoluto deserto. E allora, sì che si produce. Il Fuortes diventa super-creativo, è concentrato sul pezzo. Mentre il conte Radicati e l’Omarini hanno l’occhio spento, lui è un vulcano di creatività. A mezzanotte, i problemi tenuti a bagnomaria per tutta la giornata, sono brillantemente risolti. Noi andiamo a dormire. Lui, il Fuortes, che fa? Torna a Milano negli uffici della NCR, che sono ormai chiusi. Lui allora scavalca cancelli e cancellate e si fionda in ufficio, spaventando a morte le povere donne addette alla pulizia.

Guai a seguire Antonio Fuortes sull’arte, la cultura e la musica; ti avviluppa in una ragnatela fitta di conoscenze e di passioni. E aggiungiamoci pure quella per la montagna. Lui ha il gusto del vivere la bellezza. Memorabile il soggiorno lavoro-vacanza passato in gruppo a Zelbio, al centro-casa della National. Aria pura, vista stupenda, atmosfera rilassata,  grandi camminate  e lavoro proficuo. 

Certamente il Fuortes è un tipo imprevedibile e diciamo pure poco gestibile. Un giorno che ti fa? Affigge un foglio nella bacheca aziendale nel quale avverte i colleghi e tutto il personale della NCR che: “Occhio, se durante una telefonata, sentite un clic, è l’orecchio del capo che vi controlla”. Lui, il capo della divisione elettronica della NCR, un personaggio importante, ma prima di tutto per lui viene l’aria fresca, libera, per tutti. 

Guai a invitarlo in fabbrica. Non puoi perderlo di vista che ti si infila a curiosare dentro un frigorifero; poi avvicina gli operai, gli offre sigarette e si mette a discutere con loro sul nuovo sistema di isolamento basato sul poliuretano espanso. Perché,  lui, a parlargli di partita doppia si annoia, ma a discutere di compressori , termostati, espanso, bit e transistor si appassiona, e come si appassiona.

Lui dà confidenza a tutti, non ci sono distanze, si affeziona alle persone, alla Bruna, alla Maria , alla Rita, al Carlo, al Peppo, all’Andrea, al Silvano, la gente del nostro piccolo equipaggio di allora.

Uno degli ultimi anni della bella Ignis di Borghi, anche se il nuovo (purtroppo) direttore generale Ponti  aveva ormai deciso di  tradire la National per l’IBM, mi azzardo ad invitare il Fuortes a Comerio per gli auguri di Natale. Lui arriva nel  tardo pomeriggio, giusto in tempo per gli auguri e per assistere nella sala cinema di Comerio alla proiezione di un film con alcuni dei tanti attori che Borghi ha finanziato dagli inizi della loro carriera, da Tognazzi, a Delia Scala, a Walter Chiari, a Lino Banfi. Sul finire del film ci accorgiamo che Borghi è solo soletto; Fuortes  mi dà di gomito e mi dice “Invitalo”. Lo invito a venire con noi alla piccola festicciola degli impiegati del centro elettronico e della contabilità. Scendiamo dabbasso nei nostri uffici  e all’apparire di Borghi la nostra gente, davvero  sorpresa, scoppia in un applauso. Offriamo al nostro presidente salatini e vino bianco. Il Fuortes e il buon Rino Lissoni ci scansano e gli offrono pane e salame. Borghi ci sta e dice che vuole offrire lui e che ci vuole della musica. A questo punto il Fuortes che fa? Io davanti al mio “padrone”sono intimidito, ma lui no, e gli spiega che lui è nostro ospite. E via col nostro giradischi. Così Giovanni Borghi diventa uno dei “nostri”, per  noi “been counter” è un fatto straordinario. Penso che in quel momento il grande Borghi abbia davvero avvertito la riconoscenza e l’affetto della sua gente. Dopo un po’ si affacciano i grandi capi dell’azienda, preoccupati dalla scomparsa di Borghi ed alla sua ricerca, mai immaginando che fosse addirittura finito in … contabilità. E’ così che il Fuortes ci ha regalato uno dei momenti più belli di partecipazione e di familiarità.

E la storia si conclude così come era cominciata: anni prima davanti ad un pianoforte, ora davanti a un giradischi, con gli stessi personaggi principali.

E questo tema della libertà e della dignità per tutti è un po’ il messaggio profondo che il Fuortes mi ha trasmesso e che mi è sempre presente, come mi è presente lui; infatti di lui e con lui non mi riesce mai di parlare al passato.

Habent sua sidera lites!

Caro amico, quanto rimpiango la tua amicizia ed i tuoi preziosi consigli. Ma so che da lassù vegli su di noi. Uè, mica ci abbandoni; Insieme abbiamo vissuto momenti belli e sfide difficili, ma sempre con nel cuore una grande fiducia. Nel tuo sguardo si specchiavano la onestà e la speranza. Tu, uomo "fuortes", procedevi con baldanza; io, uomo "deboles", arrancavo con fatica. 

Poi, le nostre strade si sono divise e io, maldestro, sono finito nel frullatore di certi magistrati varesini, il p.m. Abate, il gip D'Agostino, il presidente del tribunale Franco Mancini, che mi hanno fatto il grande male che tu sai. Non posso dimenticare che in quel frangente hai avuto la grande sensibilità di incontrarmi. Io ero sconfortato e ti chiedevo dov’è la giustizia e come è possibile che dei magistrati, che hanno nelle loro mani la vita delle persone, siano così ottusi o così prevenuti da non guardare manco i documenti e dare invece retta alle parole di persone bugiarde come il Nino Mattioni o come il “grande intellettuale” Silvano Colombo, che si fingeva amico e al tribunale di Varese ha addirittura negato l’evidenza. Tu mi lasciavi sbrodolare le mie lamentazioni. Mi guardavi sornione e mica mi compativi, no, non era nel tuo stile. Mi dicevi: “Allora vai avanti!”. E poi mi sparavi un bell’aforisma in tipico stile Fuortes: “Habent sua sidera lites!”. Posso confessarti che ti avrei strangolato?

Poi sei sparito, ho letto che sei andato su vette molto più in alto. Ma te lo dovevo comunque dire che io sono andato avanti e che le tue “sidera” mi hanno condotto al professor Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale, il quale ha denunciato i magistrati per ben sei violazioni della carta europea dei diritti dell'uomo. Caro Fuortes, lo riconosco, ancora una volta hai avuto ragione tu, però niente sorrisini.